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Park Hospital, chiude la casa di cura

park hospitalE’ passato più di un mese dalle prime notizie riguardanti la chiusura del reparto per anziani locato al secondo piano del Park Hospital, clinica privata in San Sebastiano al Vesuvio. Un lasso temporale relativamente breve, ma molto intenso per chi l’ha vissuto con ansia e preoccupazione. Il timore di un futuro incerto, la rabbia di veder andar via persone care, diventate negli anni  “nonni”, l’ingiustizia di un contratto mai arrivato, di un precariato che tale non è se si tinge di nero. Per alcuni aspetti ci sono tutti gli ingredienti del pasticcio all’italiana che è diventato il  lavoro; per altri una profonda bontà ed umanità, fatta di testimonianze ed immagini, che inorgoglisce e dà speranza .

Maria, Rosa, Carmine, Patrizia, M. Patrizia, Maria Teresa, Monica, Maria, Ciro, Maria,Carmela, Franca, Raffaella, Maria, Vincenza, Santa, Ida, Marco, non sono solo nomi elencati su un foglio turni, ma persone che meritano rispetto e considerazione. Nella tabella che scandisce il ritmo della loro vita, le lettere “M, P, N” (mattina, pomeriggio, notte)  danno la misura dell’impegno quotidiano, del tempo sottratto ai propri cari.  Dal 2005, anno di fondazione della casa di cura, si alternano h24 portando sollievo e assistenza  agli anziani che, in un sorriso ed una buona parola, trovano spesso il miglior conforto.  Venticinque persone, l’elenco sopra è per difetto, fra OSS, ausiliari ed infermieri, per la maggior parte a nero.  Ma a nessuno di voi hanno chiesto di restare? Domandiamo a Ciro: “Assolutamente NO. Chi come me è a nero da 10 anni, oppure da 7, 8, 5 anni, è un problema.”  Risponde perentorio. Dieci, otto, sette, cinque anni di lavoro a nero, di pacche sulla spalla e poche centinaia di euro a fine mese, di illusioni, speranze tradite : “Avete offeso la nostra dignità. Vergogna!” Tuonano ora dal presidio posto all’ingresso della clinica di via Plinio.

Facciamo un passo in dietro. Il primo ospite della casa di cura “Park Hospital” fu Mario, un garbato ed elegante vecchietto di 93 anni. Mario, una vita trascorsa in Brasile con Napoli nel cuore, ritornato dal sud America,  aveva deciso di passare lì il resto dei suoi giorni dopo la scomparsa di Iride, moglie e compagna di una vita. Un’esistenza  non certo facile: la necessità di emigrare nel dopo guerra, la paternità mai arrivata.  Le tante  gioie vissute al fianco di Iride ritornavano di continuo nei suoi racconti e le pareti della sua camera erano tappezzate di foto di Lei. “All’ammalarsi di Iride, avevamo deciso insieme di visitare le strutture in zona in modo che chi dei due mancasse per prima, lo facesse con il pensiero tranquillo, sapendo cosa ne sarebbe stato dell’altro.” Era approdato così al Park Hospital, struttura scelta fra le tante. Lo chiamava hotel ed in effetti così appariva. Aveva la sua camera,  il suo bagno, il suo balconcino, la sua musica, la televisione, le foto, la scrivania, gli amici di giochi di carte, i suoi ricordi.  E’ scomparso nel 2006.

Ci siano chiesti cosa ne sarebbe stato oggi di Mario alla chiusura del reparto, chi si sarebbe preso cura di lui ed in che modo. Ce lo siamo chiesti riflettendo sulle tante difficoltà che i parenti hanno sostenuto nella ricerca di una nuova collocazione per i propri cari; in nome degli anziani soli che improvvisamente si sono visti privati di abitudini e volti noti, della loro nuova famiglia.

Della casa di cura restano ora  righe e righe di conversazioni, quelle avute con gli operatori e con i parenti degli anziani che ci hanno contattati chiedendoci di pubblicare le loro testimonianze. Restano i ricordi, e quelli nessuno li potrà mai intaccare, non hanno prezzo, né colore. Restano le foto, tante, che sono arrivate di continuo, bellissime. Ritraggono momenti di quotidianità e gioia: dalle passeggiate al Granatello, al saluto dell’operatrice novella sposa. Restano le emozione legate a Mario e Pina e a tutti gli altri che non ci sono più. Restano, purtroppo, 25 persone in difficoltà, espressione di 25 famiglie rimaste senza una fonte di sostentamento.  “Ora stiamo capendo le persone che si suicidano perché non lavorano più” ci scrive Ciro.”Da noi sta incombendo la disperazione più totale”. Resta la politica, quella che quando non gli conviene non si sporca le mani. E così, la richiesta di un incontro con il Sindaco di San Sebastiano Giuseppe Capasso, indipendentemente dalla sua efficacia, non ha trovato accoglimento. Eppure i nostri colloqui con gli operatori sono cominciati con una frase che ci ha colpiti molto “vogliamo il nostro Sindaco”. Probabilmente è lui che non vuole voi.

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